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Immagini al photoshop, articoli mai scritti, revisioni pilotate: i trucchi di alcuni ricercatori per fare carriera e avere più fondi

Ecco i metodi più comuni per manipolare ricerche e pubblicazioni - Prima parte - Antonio Crispino /Corriere TV CONTINUA A LEGGERE »

La ricerca scientifica si basa tutta sul sistema della pubblicazione su riviste specializzate, tant’è che il motto di ogni neolaureato che aspira a diventare ricercatore o professore universitario è «O pubblichi o muori». Poiché ogni scienziato indaga qualcosa di ignoto, pubblicare vuol dire esporre al resto del mondo il risultato di un esperimento o di una propria tesi e permettere ad altri ricercatori di giudicare la validità di quanto scoperto (sistema che prende il nome di peer review). Chi le esamina può accettare la pubblicazione, chiederne modifiche o rigettarla.
Mettere nel curriculum un buon numero di articoli scientifici equivale ad avere la porta aperta dei finanziamenti per la ricerca, dei concorsi e dei premi. «Premi che a volte hanno il valore di un appartamento o di un’auto nuova» dice Gerry Melino, editor di una rivista che si chiama Cell Death and Disease ma anche direttore del laboratorio «Apoptosis and Cancer» del Medical Research Council a Leicester (Uk). E che incontreremo nella prossima puntata perché testimone di una vicenda emblematica.

Ovviamente non tutte le riviste sono uguali, hanno una gradazione di importanza che si misura con l’impact factor, ossia quante volte il resto della comunità scientifica ha citato un articolo di quella rivista. Se uno studioso riesce a pubblicare un articolo su un giornale con impact factor molto alto (le più note sono Nature, Science ma ce ne sono molte altre) anche il valore della ricerca se ne gioverà oltre che la fama di chi l’ha firmata.
I nodi di questo sistema, che sulla carta appare perfetto, vengono al pettine nella pratica, soprattutto in un Paese in cui la torta da spartire- i fondi per la ricerca - è già piccola. Chi vuole fare carriera senza aspettare tempi biblici ricorre a una serie di espedienti che nella migliore delle ipotesi è eticamente riprovevole per uno scienziato, in altri casi si tratta di truffa. A raccontarceli non sono persone frustrate da una carriera andata male e quindi arrabbiate con il sistema, tutt’altro. Il professore Macino è un accademico dei Lincei, la massima autorità in campo scientifico. Ci riceve nel dipartimento di Biotecnologie cellulari ed Ematologia che dirige alla «Sapienza» a Roma. «Accade in un numero di volte straordinariamente imbarazzante che dei referees, ossia degli esperti del campo, rallentino la pubblicazione del lavoro di un collega, competitor nello stesso settore, solo per avere l’opportunità di pubblicare prima quel risultato».
Può capitare, infatti, che chi deve giudicare un lavoro (un referee) abbia tutto l’interesse a pubblicare per primo, proprio spinto dalla logica del «pubblica o muori». Così, inizia a richiedere modifiche non proprio necessarie o ulteriori approfondimenti per allungare i tempi degli altri e accorciare i propri. Tra l’altro, essendo ignoti, i referees non sono esposti a ritorsioni.
I ricercatori più giovani, che non hanno ancora molte pubblicazioni all’attivo, ricorrono ad altri trucchetti, come lo scambio delle firme. «Siccome ai fini dei concorsi non rileva se sei autore unico di una ricerca o la hai pubblicata con altri colleghi, offrono ad amici o conoscenti di firmare un lavoro di cui non sanno nulla - spiega Alessandro Roncaglia, membro della commissione sui Problemi della ricerca scientifica’ all’Accademia dei Lincei -. Ovviamente l’altro ricercatore farà lo stesso con le sue pubblicazioni ed entrambi raddoppiano i lavori in curriculum».

Una concorrenza da mercato delle vacche che appare quasi irrilevante rispetto ai casi di manipolazione dei dati scientifici. È lo stesso Macino che ricorda uno studio recente che stima in 5% le pubblicazioni nel mondo con studi falsi. Ma bisogna distinguere: ci sono pubblicazioni completamente false, con conclusioni assolutamente prive di fondamento e pubblicazioni parzialmente false. Nel primo caso si può trattare di dolo o di conflitto di interessi. Rientra in quest’ultima fattispecie un ricercatore americano che sulla rivista di economia American Economic Review decantò i vantaggi dell’economia islandese. Peccato che qualche mese dopo l’Islanda sarebbe stata travolta dalla crisi. «L’autore dello studio si dimenticò di dire che era anche un consulente del governo islandese», fa notare Roncaglia. «Lo stesso si è verificato per il caso Stamina o per gli studi sul riscaldamento globale. Per anni i governi di tutto il mondo hanno ritardato gli interventi per arginare il riscaldamento globale proprio perché c’erano ricerche che sostenevano che il riscaldamento globale non esisteva».

Diversi sono i casi in cui le conclusioni a cui giunge una ricerca sono corrette mentre non lo sono le argomentazioni usate per dimostrarle. Come è possibile? Ce lo spiega Enrico Bucci, un ricercatore che dal 2008 monitora i contenuti delle pubblicazioni in biomedicina grazie allo sviluppo di un software. «I referees, ossia quelli che approvano o bocciano una ricerca, quasi sempre non visionano l’intero contenuto di uno studio ma solo se le conclusioni che se ne traggono». Insomma, è come copiare il compito in classe: il risultato sarà anche corretto ma il mezzo usato per arrivarci non è lecito. In biomedicina ciò che dimostra la validità di un esperimento è un’immagine di laboratorio. Sono delle bande in bianco e nero che, a seconda dell’intensità del colore o della dimensione dimostrano qualcosa. «Il risultato della scansione è stato sorprendente: su un primo campione di 1364 articoli circa il 6% conteneva manipolazioni. All’aumentare del campione cresceva anche la percentuale di falsi. C’erano immagini copiate e incollate, modificate con il Photoshop, copiate da altre ricerche, da altri autori e persino immagini che non c’entravano nulla con il contenuto della pubblicazione».

Non qualche ‘mela marcia’ ma un vero e proprio sistema, più diffuso di quello che riescono a rilevare i revisori delle riviste. Un fenomeno esploso negli ultimi anni perché prima dello sviluppo di determinati software di scansione non era facile rilevarli a occhio nudo. Quindi, anche le statistiche sulle frodi accertate non sono completamente attendibili in quanto sarebbero solo il risultato di quello che si è riusciti a certificare. E in Italia? Com’è la situazione? «Restringendo il campo alla Biomedicina abbiamo scoperto che il singolo gruppo che risultava primo per numero di articoli manipolati era il gruppo del professore Fusco». Chi è Fusco? Perché è sotto i riflettori più di altri? E che benefici ne ha tratto? Una storia incredibile ed estremamente emblematica che vi racconteremo nella seconda puntata.

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La ricerca scientifica si basa tutta sul sistema della pubblicazione su riviste specializzate, tant’è che il motto di ogni neolaureato che aspira a diventare ricercatore o professore universitario è «O pubblichi o muori». Poiché ogni scienziato indaga qualcosa di ignoto, pubblicare vuol dire esporre al resto del mondo il risultato di un esperimento o di una propria tesi e permettere ad altri ricercatori di giudicare la validità di quanto scoperto (sistema che prende il nome di peer review). Chi le esamina può accettare la pubblicazione, chiederne modifiche o rigettarla.
Mettere nel curriculum un buon numero di articoli scientifici equivale ad avere la porta aperta dei finanziamenti per la ricerca, dei concorsi e dei premi. «Premi che a volte hanno il valore di un appartamento o di un’auto nuova» dice Gerry Melino, editor di una rivista che si chiama Cell Death and Disease ma anche direttore del laboratorio «Apoptosis and Cancer» del Medical Research Council a Leicester (Uk). E che incontreremo nella prossima puntata perché testimone di una vicenda emblematica.

Ovviamente non tutte le riviste sono uguali, hanno una gradazione di importanza che si misura con l’impact factor, ossia quante volte il resto della comunità scientifica ha citato un articolo di quella rivista. Se uno studioso riesce a pubblicare un articolo su un giornale con impact factor molto alto (le più note sono Nature, Science ma ce ne sono molte altre) anche il valore della ricerca se ne gioverà oltre che la fama di chi l’ha firmata.
I nodi di questo sistema, che sulla carta appare perfetto, vengono al pettine nella pratica, soprattutto in un Paese in cui la torta da spartire- i fondi per la ricerca - è già piccola. Chi vuole fare carriera senza aspettare tempi biblici ricorre a una serie di espedienti che nella migliore delle ipotesi è eticamente riprovevole per uno scienziato, in altri casi si tratta di truffa. A raccontarceli non sono persone frustrate da una carriera andata male e quindi arrabbiate con il sistema, tutt’altro. Il professore Macino è un accademico dei Lincei, la massima autorità in campo scientifico. Ci riceve nel dipartimento di Biotecnologie cellulari ed Ematologia che dirige alla «Sapienza» a Roma. «Accade in un numero di volte straordinariamente imbarazzante che dei referees, ossia degli esperti del campo, rallentino la pubblicazione del lavoro di un collega, competitor nello stesso settore, solo per avere l’opportunità di pubblicare prima quel risultato».
Può capitare, infatti, che chi deve giudicare un lavoro (un referee) abbia tutto l’interesse a pubblicare per primo, proprio spinto dalla logica del «pubblica o muori». Così, inizia a richiedere modifiche non proprio necessarie o ulteriori approfondimenti per allungare i tempi degli altri e accorciare i propri. Tra l’altro, essendo ignoti, i referees non sono esposti a ritorsioni.
I ricercatori più giovani, che non hanno ancora molte pubblicazioni all’attivo, ricorrono ad altri trucchetti, come lo scambio delle firme. «Siccome ai fini dei concorsi non rileva se sei autore unico di una ricerca o la hai pubblicata con altri colleghi, offrono ad amici o conoscenti di firmare un lavoro di cui non sanno nulla - spiega Alessandro Roncaglia, membro della commissione sui Problemi della ricerca scientifica’ all’Accademia dei Lincei -. Ovviamente l’altro ricercatore farà lo stesso con le sue pubblicazioni ed entrambi raddoppiano i lavori in curriculum».

Una concorrenza da mercato delle vacche che appare quasi irrilevante rispetto ai casi di manipolazione dei dati scientifici. È lo stesso Macino che ricorda uno studio recente che stima in 5% le pubblicazioni nel mondo con studi falsi. Ma bisogna distinguere: ci sono pubblicazioni completamente false, con conclusioni assolutamente prive di fondamento e pubblicazioni parzialmente false. Nel primo caso si può trattare di dolo o di conflitto di interessi. Rientra in quest’ultima fattispecie un ricercatore americano che sulla rivista di economia American Economic Review decantò i vantaggi dell’economia islandese. Peccato che qualche mese dopo l’Islanda sarebbe stata travolta dalla crisi. «L’autore dello studio si dimenticò di dire che era anche un consulente del governo islandese», fa notare Roncaglia. «Lo stesso si è verificato per il caso Stamina o per gli studi sul riscaldamento globale. Per anni i governi di tutto il mondo hanno ritardato gli interventi per arginare il riscaldamento globale proprio perché c’erano ricerche che sostenevano che il riscaldamento globale non esisteva».

Diversi sono i casi in cui le conclusioni a cui giunge una ricerca sono corrette mentre non lo sono le argomentazioni usate per dimostrarle. Come è possibile? Ce lo spiega Enrico Bucci, un ricercatore che dal 2008 monitora i contenuti delle pubblicazioni in biomedicina grazie allo sviluppo di un software. «I referees, ossia quelli che approvano o bocciano una ricerca, quasi sempre non visionano l’intero contenuto di uno studio ma solo se le conclusioni che se ne traggono». Insomma, è come copiare il compito in classe: il risultato sarà anche corretto ma il mezzo usato per arrivarci non è lecito. In biomedicina ciò che dimostra la validità di un esperimento è un’immagine di laboratorio. Sono delle bande in bianco e nero che, a seconda dell’intensità del colore o della dimensione dimostrano qualcosa. «Il risultato della scansione è stato sorprendente: su un primo campione di 1364 articoli circa il 6% conteneva manipolazioni. All’aumentare del campione cresceva anche la percentuale di falsi. C’erano immagini copiate e incollate, modificate con il Photoshop, copiate da altre ricerche, da altri autori e persino immagini che non c’entravano nulla con il contenuto della pubblicazione».

Non qualche ‘mela marcia’ ma un vero e proprio sistema, più diffuso di quello che riescono a rilevare i revisori delle riviste. Un fenomeno esploso negli ultimi anni perché prima dello sviluppo di determinati software di scansione non era facile rilevarli a occhio nudo. Quindi, anche le statistiche sulle frodi accertate non sono completamente attendibili in quanto sarebbero solo il risultato di quello che si è riusciti a certificare. E in Italia? Com’è la situazione? «Restringendo il campo alla Biomedicina abbiamo scoperto che il singolo gruppo che risultava primo per numero di articoli manipolati era il gruppo del professore Fusco». Chi è Fusco? Perché è sotto i riflettori più di altri? E che benefici ne ha tratto? Una storia incredibile ed estremamente emblematica che vi racconteremo nella seconda puntata.

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